martedì 30 settembre 2008
stra-ordinary life
la prima a sospettare qualcosa è stata la maestra di mia figlia.
mi ha liquidato con un tenero: "adesso facciamo andare il papà, che avrà sicuramente da lavorare", ma voleva dire: "a me non mi freghi, bello".
effettivamente il mio comportamento ha dato un po' nell'occhio, ultimamente.
qui tutti mollano i bambini al volo, li catapultano letteralmente giù dai loro suv in doppia fila e li salutano da dietro i vetri oscurati, mentre probabilmente parlano già con l'ufficio o pianificano riunioni con i clienti.
io, invece, ho preso l'abitudine di camminare un po' con lei, mano nella mano, fino davanti a scuola. e di accompagnarla su, al primo piano, dove c'è la sua classe.
so già che tra qualche anno vorrà essere lasciata il più lontano possibile e arrivare a scuola senza il papà. diciamo che, per adesso, ho deciso di approfittare della sua disponibilità. al punto che temo risulti evidente come io la mattina non abbia alcuna fretta di andare via da questa scuola.
vivo una specie di caos calmo, mentre gli altri genitori sembrano ancora tarantolati dalla febbre del rientro e, dopo una lunga estate, tornano alla loro regular season 9 to 5.
anche per me una volta era così.
la mia vita era scandita dagli orari del mio ufficio, un edificio immenso, capace di inghiottire fiumi di badge che timbrano e stimbrano, un luogo da raggiungere come un pellegrinaggio quotidiano in cui il più difficile dei lavori non è lavorare ma recarsi al lavoro.
un traguardo da tagliare ogni mattina, l'ingresso in azienda, un non-luogo in cui restare a scaricare barili fino al sacro momento dell'orario di uscita, vero e proprio big-bang "del resto delle nostre vite": si torna dalle famiglie, si va in palestra, si fa la spesa, si bruciano stipendi nei modi più strani.
solo che adesso il mio ufficio non c'è più.
all'inizio non mi sono preoccupato.
ho pensato che, dopo un po', sarebbe tornato.
capita a tutti di passare dei momenti difficili e di non esserci più con la testa.
lui, in quanto ufficio, non c'era più e basta.
i primi giorni sono stati un vero spasso.
mare caldo di fine estate, spiaggia deserta, gazza zeppa di calciomercato.
poi tornavo a prendere la bambina a scuola, a fare la spesa, a pisciare il cane, come se niente fosse.
anche se il sapore del sale sulla pelle mi ricordava la mia infedeltà quotidiana.
perché il vero problema di questa doppia vita è che non posso dire in famiglia che il mio ufficio non c'è più.
troppe domande, troppe richieste di spiegazioni, con il rischio concreto di rovesciare i precari equilibri su cui è basata tutta la fisica del nostro microcosmo.
idem con gli amici. nessuno capirebbe veramente, nessuno.
e scatterebbero subito invidie e gelosie: "e com'è che ti arriva ancora l'accredito dello stipendio a fine mese?"
"bho, non lo so, mi arriva e basta".
naaah, ci ho pensato e ripensato, non mi crederebbe nessuno.
anche i vicini, figurati cosa potrebbero pensare.
meglio la clandestinità.
così la mattina metto giacca e cravatta, dico buongiorno e buonasera e fingo un minimo di urgenza. ma già sulle scale di casa mi ritrovo a canticchiare le canzoni dei cartoni animati con mia figlia.
lei è l'unica che non mi fa domande. l'unica veramente spensierata come me. a lei vorrei dirlo: potrebbe essere fantastico passare le giornate insieme ai giardinetti o al cinema o a mangiare schifezze da mc donald's e cazzeggiare in giro. ma temo che non sarebbe molto educativo, quindi la porto a scuola.
poi passo in ufficio, vedo che l'ufficio non c'è (controllo ogni mattina, perché non si sa mai), e la mia giornata ha inizio.
come tutti, cerco di scappare dal traffico.
mentre gli altri si spingono verso il centro, io vado fuori città, in cerca di centri commerciali, i miei più grandi alleati, posti ideali nei quali mischiarsi tra la folla e scomparire.
certo, corro il rischio concreto di incontrare qualcuno dato che, oggi come oggi, pare che la gente esca di casa solo per andare per centri commerciali (quando ho voglia di incontrare vecchi compagni di classe, sfatti e con prole, di solito vado lì). ma, in caso di incontri ravvicinati, posso sempre raccontare che mi trovo lì per lavoro: per controllare un display, un layout, un merchandiser, un positioning o che cazzo (a volte penso che già che son qui potrei pure portarmi avanti e fare la spesa, ma credo che con il carrello pieno desterei più di un sospetto -- sulla storia che sto lavorando).
e poi la mattina sti posti sono pieni di gnocca, digiamolo.
gnocca che ha appena portato i figli a scuola, che deve andarli a riprendere, che i marmocchi ce li ha sul carrello e che deve anche pensare a come sfamare il marito la sera. ma pur sempre gnocca.
oppure, se di donne non ne voglio vedere manco mezza, faccio un salto da mediaworld dove, insieme ad altri maniaci, posso studiarmi tutti i cellulari, sentire le voci del tom tom, rintronarmi con gli home theatre, diquisire sulle fondamentali differenze tra hd ready e full hd, giocare a ps3 o cercare la password per uscire dal salvaschermo dei pochi mac in esposizione.
insomma, questi sono veri e propri cimiteri del tempo perso. mausolei del "non ho nulla da fare, dunque vengo qui". patiboli sui quali condurre le ore che mi dividono dal rientro a casa e fucilarle una dietro l'altra, senza alcuna pietà. sempre divertendomi come un matto (mai definizione fu più esatta), s'intende.
perché io da decathlon mi sento come un bimbo a gardaland: mi aggiro tra quei corridoi un po' scarni (com'è nello stile del marchio) e mi immagino distrutto al traguardo di una maratona, 20 mt sott'acqua inseguito da uno squalo, serve and volley di seconda palla, perfetto tee-shot "in bandiera" e mille altri sport che vorrei praticare (se solo ne avessi il tempo, ah ah).
da castorama, poi, mi viene voglia di smontare casa, laminare il parquet, ripulire la facciata, demolire la parete della cucina e fare tutto un open-space.
di solito esco di lì morto di stanchezza, giusto in tempo per la pausa pranzo. e qui ho solo l'imbarazzo della scelta: cinese, giapponese, panino giusto, happy meal con pupazzetto, spizzico, ciao, autogrill. e per una volta voglio anche il menù con dolcetto e il biglietto della lotteria (che sono stufo di dirti ogni giorno no), perché un po' di milioni mi servirebbero per cambiare vita e smettere di lavorare.
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12 commenti:
E' un post magnifico.
Spero solo non ci sia un fondo di verita'.
tranquillo moz, è pura fiction.
è una cosa che mi è venuta in mente la prima settimana di ritorno dalle (faticosissime) ferie: in ufficio non avevo un cazzo da fare e passavo le giornate tra piscina, sport, decathlon e cazzeggio vario.
è stato bellissimo.
Bellissimo post, davvero :DDDD
Ho un po' pensato che fosse vero... forse perché ho presente la sensazione, esperienza di anni fa... che sa molto di bigiare la scuola.
Andare in un negozio, o comunque in giro, durante le ore lavorative generali e consone, o farlo durante le ore più universalmente libere non è la stessa cosa.
(per chi è un po' anarchico inside, forse).
PUPI
grazie PUPI... hai colto esattamente il senso di questo post!
Comu finiu?
moz, vabbè che ho detto che era una fiction... ma non ho detto che era a puntate!!!
MOZ-MAC: ahahahaah ;)
(peccato però)
PUPI
Ehi, Mac, scrivi troppo bene per non sfornare un altro post... e alur?!?
in attesa di novità scrittorifere,
un salutino :D
PUPI
grazie pupi ma, al momento, l'ispirazione latita e sono (a differenza del caro moz) troppo preso da facebook eh eh
Mac, smettila di cazzaggiare e scrivi un libro! Sei troppo bravo!
Ciao
ti ringrazio forrest ma cazzeggiare mi riesce così bene...
cosa vuol dire cazzeggiare ? È equivalente a chiavare ?
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